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Voglio abbracciare.
Non solo con le braccia, ma con l’anima.
Voglio abbracciare oltre il tempo, oltre la velocità e il rumore della vita moderna. Voglio fermarmi, respirare, e offrire uno spazio di verità, di presenza autentica.
In un mondo che spesso corre senza guardarsi negli occhi, abbracciare davvero diventa un atto rivoluzionario. Contro la fretta, contro la distanza emotiva, contro l’abitudine a sentirsi soli anche in mezzo agli altri. Io voglio dare calore a ogni istante, senza paura, senza esitazione. Un calore sincero, che non si nasconde. Che non è timido. Che non è condizionato da aspettative o formalità.
Voglio chiedere: “come stai?”, e voglio che quella domanda arrivi senza bisogno di parole, senza passare dalle orecchie. Voglio che venga percepita nel silenzio, nello sguardo, nella presenza. Perché spesso le parole non bastano, ma la presenza sì. La presenza guarisce.
Desidero respirare l’altro solo quando sono fragile, in quell’attimo puro, umano, onesto. Solo quando posso essere vero, senza maschere, senza corazze. Perché è nella fragilità condivisa che nasce la connessione più profonda. È lì che l’empatia diventa abbraccio, che l’ascolto diventa rifugio.
Io so abbracciare.
Non perché sia semplice. Non perché lo faccia sempre. Ma perché scelgo di farlo. Scelgo di esserci, davvero. Di portare con me il coraggio di sentire, di ascoltare, di accogliere. In un tempo che spesso ci invita a chiuderci, io apro le braccia. E il cuore.
